Gli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti


Data la delicatezza del tema e l’estrema complicazione e dettaglio in cui é necessario scendere per dare informazioni corrette su questo tema, ho deciso di aprire una pagina appositamente dedicata agli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti. Molto sovente, infatti, si sente in giro la voce dell’ignoranza che utilizza strumenti delicati e poco precisi, come la relazione LNT, in modo scorretto, al solo fine di predire massacri ed ecatombi ad opera delle radiazioni ionizzanti. Non mi interessa il gioco politico che sta dietro questo approccio; l’unica cosa che mi importa é fare chiarezza su come stanno realmente le cose, di modo che ciascuno sia poi in grado di giudicare usando la propria testa. Veniamo ora ai fatti.

Nota importante: con questo tema entriamo un po' nell'ambito biologico e medico. Non sono nè un medico nè un biologo, anche se dopo mesi passati ad approfondire credo di poter dare un’idea di come funziona questo aspetto.  Prego i lettori esperti che individuino inesattezze di segnalarmele; provvederó a correggere non appena possibile.
In questa sede, prenderemo in considerazione solo l’irraggiamento esterno a tutto il corpo; singoli organi, specialmente da irraggiamento interno, saranno oggetto di considerazioni successive, sebbene parte del discorso sia applicabile anche ad essi.

Energia e ionizzazione


Cominciamo dal fenomeno che é stato identificato come responsabile del danno biologico da parte delle radiazioni: la ionizzazione, cioé la liberazione di cariche elettriche dagli atomi cui erano legati. Per ionizzare la materia, ogni singola radiazione deve possedere un’energia sufficiente; non é possibile ionizzare la materia con onde che non posseggano individualmente un’energia sufficiente, nemmeno se tantissime! Nel caso delle onde elettromagnetiche, l’energia posseduta da un’onda é correlata alla sua frequenza, ragione per la quale si puó affermare con certezza che TUTTE le radiazioni EM con frequenza inferiore a un certo valore NON possono ionizzare certi tipi di molecole, in particolare quelle che compongono il corpo umano, indipendentemente da quante sono. Il corpo umano é infatti principalmente composto da Carbonio, Idrogeno, Azoto, Ossigeno, Fosforo e Zolfo (i famosi CHNOPS) la cui energia di prima ionizzazione viaggia tra i 10 e i 14 eV (1000-1400 KJ/mole); questo significa che una radiazione deve possedere almeno quell’energia per poter ionizzare un atomo di questi elementi, il che corrisponde (per le onde elettromagnetiche) a lunghezze d’onda attorno ai 120 nm, cioé UVC e ultravioletto profondo. Per le particelle dotate di massa, l’energia trasportata dalla radiazione é invece ovviamente proporzionale alla massa stessa ed al quadrato della velocitá.

Breve nota a margine sulle radiazioni non ionizzanti: dato che manca il meccanismo della ionizzazione (stiamo parlando di onde elettromagnetiche di lunghezza d’onda maggiore di 120 nm), l’unica cosa che questo tipo di radiazioni puó fare é scaldare la materia che colpisce, sia essa tessuto vivente o un materiale inerte. Si pensi ad esempio al fondo a microonde, che sfrutta proprio questo principio per scaldare i cibi.

Il fatto che le radiazioni non-ionizzanti scaldino la materia é anche visto da alcuni come una potenziale fonte di danno biologico. Cominciamo dicendo che, com’é ovvio, se il calore portato dalle radiazioni é molto intenso, questo provoca ustioni indipendentemente da come si trasmette! Tuttavia, se parliamo di radiofrequenze da antenne o telefoni cellulari, la capacitá di questi di scaldare la materia vivente si limita a pochi gradi. Molti suggeriscono che anche questi pochi gradi possano essere in qualche modo dannosi; al che giova ricordare qual é il principale meccanismo di difesa del nostro corpo nei confronti di una malattia: la febbre, cioé l’innalzamento della temperatura media del corpo. Questo dovrebbe chiarire che un piccolo riscaldamento del nostro corpo difficilmente puó avere effetti negativi; l’unico aspetto da tenere d’occhio é il riscaldamento di una parte del corpo rispetto al resto, ma é difficile che questo causi problemi per pochi gradi. Incidentalmente, esiste addirittura chi cerca di curare i dolori reumatici mediante l’uso di magnetoterapie e altri irraggiamenti controllati con radiazioni non ionizzanti...

Insomma, a meno di infilare la mano dentro a un forno a microonde acceso, difficilmente le radiazioni non-ionizzanti potranno causare alcun danno a causa del calore trasmesso.
Unico problema, ai fini della radioprotezione, rimane dunque assicurarsi che TUTTE le onde ricevute da una certa sorgente siano non-ionizzanti, cosa facile nel caso di antenne ed emettitori a microonde (sono progettati apposta) ma meno intuitiva nel caso di sorgenti naturali di radiazioni, come il Sole.

Veniamo alle radiazioni ionizzanti. Avendo a disposizione un’energia sufficiente a ionizzare la materia (anche vivente), queste particelle/onde possono strappare cariche a qualunque molecola del corpo umano con la quale vengano a contatto. Il risultato va esaminato a piú livelli distinti:
1.       Livello molecolare: che cosa succede a una molecola ionizzata da una radiazione
2.       Livello cellulare: che cosa succede a livello di singola cellula colpita
3.       Livello di organismo: quali sono le conseguenze macroscopiche

Cosa succede a livello molecolare

Un atomo che sia ionizzato da una radiazione incidente cambierá le proprie caratteristiche elettrostatiche (quindi chimiche, dato che la chimica di un atomo é in definitiva dettata dalle interazioni elettrostatiche tra gli elettroni di quell’atomo e di quelli che lo circondano...). Questo significa che la molecola di cui fa parte potrebbe cessare di svolgere la propria funzione oppure alterarla in maniera sostanzialmente imprevedibile. La carica strappata dall’atomo, inoltre, diventa libera di circolare, sicché molte (moltissime!) cariche libere potrebbero dare adito a piccoli fenomeni elettrici.

Cosa succede a livello cellulare/pluricellulare

L’effetto su una cellula dipende fortemente dal tipo di molecola colpita e dalla risposta da parte della cellula stessa. Una molecola come l’emoglobina, ad esempio, potrebbe semplicemente perdere il legame con un atomo di ossigeno trasportato, creando un radicale libero (un potenziale veleno chimico) e/o neutralizzando l’azione importante svolta dalla molecola. L’impatto su una molecola di uno degli amminoacidi componenti il DNA cellulare, d’altro canto, puó con ogni probabilitá originare un danno al corredo genetico della cellula.

Proprio riguardo ai danni genetici, studi recenti (Billen, 1990 e altri) hanno valutato il danno genetico diretto inflitto dalle radiazioni ionizzanti in circa 10 danni per milligray di dose. Quello che importa, peró, é il contesto in cui ció avviene: ogni cellula del nostro corpo, ogni ora, é infatti soggetta a circa 10.000 danni genetici di varia natura, per le cause piú disparate. Per la maggioranza, si tratta di reazioni incontrollate di ossidazione di parte del DNA ad opera di radicali liberi e tossine, aiutate da fattori come stress termico e meccanico. Per fronteggiare e contrastare questo fenomeno del tutto naturale, l’evoluzione ci ha dotati di una serie di meccanismi biologici che riparano costantemente i danni genetici e le alterazioni del DNA, ripristinando la funzionalitá normale entro i limiti del possibile; il risultato finale é che ogni cellula del nostro corpo ripara normalmente praticamente tutti i danni genetici che riceve, accumulando in media un danno genetico non riparato ogni ora. Questo accumulo di anomalie genetiche non riparate (e talvolta non riparabili!) é parte del normale processo di invecchiamento cellulare, tanto che si stima che ogni cellula possa accumulare un totale di alcuni milioni di danni genetici prima che la sua funzionalitá sia seriamente compromessa. A questo punto, esattamente come accade agli organismi pluricellulari, interviene la morte: il fenomeno, detto apoptosi o morte programmata, determina il suicidio spontaneo di una cellula che abbia accumulato troppi danni genetici, evitando in tal modo che essa diventi instabile e dia luogo a un tumore. Ogni giorno, il nostro corpo accumula migliaia di apoptosi cellulari senza che queste abbiano conseguenze sull’organismo in sé (che é composto da circa 10-100 mila miliardi di cellule, molte delle quali in costante riproduzione!); sennonché, anche l’apoptosi puó, in rari casi, fallire. In tal caso, la cellula muta e puó diventare instabile, modificando immediatamente la propria struttura. Questo fa sí che il sistema immunitario centrale la identifichi immediatamente come estranea all’organismo e la aggredisca, distruggendola prima che diventi pericolosa; anche questo é un fenomeno molto comune, che avviene con una certa frequenza all’interno del nostro organismo. In rari casi, quando il nostro sistema immunitario si indebolisce troppo, é possibile che non riesca a distruggere in tempo una di queste cellule mutagene, che riesce dunque a moltiplicarsi in maniera incontrollata e formare una piccola massa tumorale. L’eventuale mutazione di almeno una delle cellule di questa massa in una cellula di un vaso sanguigno aprirá allora le porte a un’espansione incontrollata di tale massa, dando luogo al cancro.

Risposta adattiva

Ma non é tutto. Esperimenti ulteriori hanno evidenziato due fenomeni ancora piú interessanti: la risposta adattiva e l’effetto bystander.

La risposta adattiva é un fenomeno registrato piú volte in esperimenti, per esempio, di irraggiamento diretto su leucociti di individui provenienti da zone ad alto livello di radioattivitá naturale (come l’area di Ramsar, in Iran, sede di sorgenti termali o la spiaggia di Guarapari in Brasile), oppure irraggiando con elevati ratei di dose cellule preventivamente trattate con piccole dosi di radiazione. Quello che si é osservato é che le cellule preventivamente trattate con basse dosi, quando soggette a forti dosi di radiazioni, accumulavano sistematicamente un numero molto minore di danni genetici rispetto al gruppo di controllo non trattato preventivamente! Questo conferma la teoria secondo la quale bassi ratei di dose stimolano una risposta adattiva che incrementa il livello di riparazione dei danni genetici, “preparando” una cellula per irraggiamenti davvero pericolosi.

Effetto bystander

Il secondo é un curioso effetto registrato in esperimenti in cui una o piú cellule sono state irraggiate con basse dosi o addirittura singole particelle; quello che si é osservato é la creazione di danni genetici aggiuntivi non soltanto nella cellula colpita, ma anche in quelle circostanti, non toccate direttamente dalla radiazione! Successivi studi hanno confermato che, in determinate condizioni, una cellula colpita da una radiazione che le provoca un danno genetico, tende ad emettere una serie di sostanze enzimatiche che provocano danni genetici nelle cellule accanto ad essa. Il risultato immediato é che la radiazione provoca un danno complessivo molto maggiore del previsto, sebbene il fenomeno tenda a saturarsi al crescere del rateo di dose.

Ma com’é possibile che una cellula, colpita da radiazione, danneggi spontaneamente le cellule circostanti? Quale vantaggio evolutivo puó mai dare tale effetto, soprattutto considerando che il nostro organismo si é evoluto (ed ha sviluppato tali meccanismi) in un ambiente a fondo naturale molto piú elevato di quello attuale? É possibile ipotizzare una risposta sulla base del fatto che entrambi i fenomeni, bystander e risposta adattiva, sono stati visti agire insieme; in tal modo, una cellula colpita da una radiazione pericolosa “preparerebbe” le cellule circostanti danneggiandole in modo da stimolarne la risposta adattiva in preparazione per un possibile aumento del livello generale di radioattivitá. Il danno in sé sarebbe trascurabile rispetto al normale rateo di danno cui ciascuna cellula é sottoposta, ed i meccanismi di riparazione, stimolati, lo compenserebbero ampiamente nel corso di poche ore.

Livello di organismo


Sindrome da radiazioni: cos’é, come si manifesta, nesso causa-effetto

A livello di organismo intero, quanto detto finora si traduce in una serie di effetti macroscopici identificati in persone che hanno subito, per motivi vari, alte dosi di radiazioni acute. Questi effetti sono riassunti dalla cosiddetta radiation sickness, o sindrome da radiazioni. Come accennato, questa ha luogo in presenza di forti dosi acute (cioé prese in brevissimo tempo, pochi minuti) ed é l’insieme di una serie di sintomi che occorrono comunque a distanza di qualche minuto e fino a qualche settimana dalla dose.
Siccome le funzioni vitali delle cellule colpite sono danneggiate irreparabilmente dal bombardamento, vuoi perché queste attuano il meccanismo difensivo dell’apoptosi  per prevenire l’insorgere di mutazioni, vuoi per altri motivi come l’intervento del sistema immunitario centrale, il risultato complessivo dell’irraggiamento é la morte prematura di un gran numero di cellule del corpo, oltre alla creazione di un gran numero di molecole “spezzate” e radicali liberi chimicamente tossici che incrementano ulteriormente il livello di danno genetico nelle ore successive.

Il risultato finale sono ustioni nelle aree irraggiate nonché effetti da intossicazione quali nausee e vomiti. L’ustione del midollo osseo, particolarmente radiosensibile, porta poi a una diminuzione della produzione di globuli bianchi, rossi e piastrine del sangue. Poichè questi non vengono intaccati significativamente dalla radiazione e hanno una vita normale dell'ordine di qualche settimana, il danno determina una diminuzione della loro popolazione a distanza di qualche tempo dall'irraggiamento, provocando anemia, immunodeficienza ed emofilia. Il tessuto ematopoietico del midollo osseo però, se non danneggiato troppo gravemente, tende fortunatamente a guarire da solo; in caso contrario si rende necessario un trapianto.
La radiation sickness si presenta solo per fortissimi irraggiamenti acuti (dai 500-1000 milliSievert in su, entro pochi minuti). L’intensità degli effetti é proporzionale alla dose di radiazioni ricevuta e, una volta terminato l'irraggiamento, gli effetti guariscono col passare del tempo (se l’organismo sopravvive). Per dosi acute molto elevate (10.000 milliSievert o piú), la forte ionizzazione puó arrivare a produrre correnti spurie nel sistema nervoso centrale, che possono creare disorientamento, difficoltá di concentrazione e una sindrome nota in generale come “euforía da radiazioni”.

Gli effetti sopra sono ampiamente documentati ad esempio nei rapporti sugli alto irraggiati delle bombe atomiche o nelle testimonianze sulla squadra di soccorso che é intervenuta per spegnere l’incendio del reattore 4 della centrale di Chernobyl. 

É molto importante sottolineare che la sindrome da radiazioni presenta un chiaro ed evidente nesso causa-effetto con l’esposizione alle radiazioni sopra una determinata soglia.

Effetti oncologici: cosa sono

Oltre alla radiation sickness, studi epidemiologici hanno mostrato una generale tendenza all’aumento dell’incidenza di alcuni tipi di tumore e leucemia. Questo é documentato dai giá citati studi sugli alto irraggiati delle bombe atomiche e su alcuni altri casi accidentali di irraggiamento elevato. É difficile quantificare questo effetto, dato che gli studi epidemiologici sono per loro natura affetti da moltissime incertezze (bias statistici, influenze esterne, etá e stile di vita, contaminazione del cibo/acqua/aria, psicologia, ecc), tuttavia l’ordine di grandezza di tali effetti é pari a circa 5 casi su 100 in piú rispetto al gruppo di controllo non irraggiato nel corso della vita intera, per dosi acute dell’ordine di quelle da radiation sickness. Per dosi minori e/o non acute (non ricevute in pochi minuti/secondi ma spalmate su mesi o anni) non esistono invece statistiche sufficientemente forti per evidenziare alcun effetto di questo tipo e la loro esistenza é stata soltanto ipotizzata sulla base del modello LNT (di cui parleremo in seguito).

É importante enfatizzare l’incertezza nel parlare di effetti oncologici a causa delle radiazioni ionizzanti; al contrario della sindrome da radiazioni, nel caso degli effetti oncologici non si puó parlare di un evidente nesso causa-effetto: in altre parole, l’esposizione alle radiazioni ionizzanti non causa tumori o leucemie, ma li puó favorire. La differenza é, come vedremo, tutt’altro che sottile.

Possibili spiegazioni

Alla luce di quanto detto, proviamo ad ipotizzare perché l’esposizione alle radiazioni ionizzanti provoca o favorisce gli effetti negativi sulla salute che sappiamo esistere.

Se la ionizzazione diretta provoca circa 10 danni genetici per milliGray, per quanto in maggioranza gravi (double stranded breaks, cioé rotture di entrambi i rami della doppia elica del DNA), allora anche un rateo di dose elevatissimo, per esempio 1 Gray/h, dovrebbe portare a circa 10.000 danni extra per ora, cioé il doppio del normale; é parecchio, ma si tenga conto che stiamo ragionando su una singola cellula. Se la dose viene applicata a livello di corpo intero, ciascuna cellula riceve in realtá enormemente meno di quella dose! Oppure, il che é lo stesso, il nostro corpo subisce naturalmente circa diecimila danni genetici per ciascuna dei centomila miliardi di cellule, cioé un miliardo di miliardi di danni genetici totali ogni ora in media! Puó la semplice ionizzazione diretta, che aggiungerebbe qualche milione di danni al totale nell’esempio in questione, spiegare completamente tutti gli effetti, sia la radiation sickness che gli effetti oncologici?
Ancora una volta, la faccenda sembra essere molto piú complessa.

Lasciamo perdere le approssimazioni legate al considerare una “dose al corpo intero”, senza distinguere tra cellule diversissime, radiazioni diverse e di energia diversa, e altro ancora. Anche a questo livello di astrazione, rimane imperativo considerare che l’incidenza delle radiazioni non ionizza soltanto il DNA, ma provoca alterazioni e spezza molecole un po’in tutta la cellula. Questo produce sicuramente un’aumento sensibile del numero di radicali liberi presenti nel corpo, molecole spezzate di ogni genere, che potrebbero (tra l’altro) andare ad incrementare il livello di danno genetico causato da ossidazione! Il danno generale, se elevato, ha poi con ogni probabilitá un’influenza negativa sul sistema immunitario centrale, quantomeno perché riduce la capacitá di produrre anticorpi e ne distrugge una parte, il che avrebbe anche effetto sulla capacitá del sistema immunitario di identificare e distruggere eventuali cellule mutagene, almeno in teoria. Siamo nel campo delle ipotesi, anche perché é molto difficile osservare e provare effetti cosí ampi e distribuiti in tutto il corpo senza effettuare esperimenti in vivo su esseri umani (cosa impossibile per ovvie ragioni etiche!).

Modelli: la LNT

Quando nel 1942 il biologo Hermann Müller vinse il premio Nobel per la medicina grazie a uno studio sui danni genetici determinati da alte dosi di radiazioni ionizzanti sui moscerini della frutta, la comunitá scientifica cominció a dare per assodato che la relazione tra la dose assorbita, indipendentemente dal tempo, e il numero di danni genetici causati fosse lineare e priva di soglia. La conoscenza del tempo, inoltre, dava per scontato che il DNA fosse una molecola stabile (sappiamo oggi che non é affatto vero!) e sosteneva che un singolo danno genetico fosse sufficiente per provocare una mutazione incontrollata, dando origine a un tumore.  Il risultato é la famosa relazione lineare senza soglia (Linear No-Threshold, o LNT) cosí costruita:

·         L’incremento nell’incidenza di tumori/leucemie dato da un irraggiamento é linearmente proporzionale alla dose di radiazioni assorbita
·         L’incremento di incidenza é indipendente dal tempo di assorbimento della dose
·         Zero dose significa zero incremento
·         Non esiste una dose maggiore di zero che non comporti incrementi dell’incidenza

Famoso divenne il discorso di Müller stesso di fronte alla commissione del premio nobel  nel quale il biologo sostenne che ormai non esisteva piú alcun dubbio sulla linearitá dose-effetto anche per dosi trascurabili.
Recentemente, il tossicologo statunitense Edward Calabrese ha presentato alcune prove a sostegno dell’ipotesi che Müller abbia ignorato deliberatamente alcuni studi di suoi colleghi, in particolare il Dottor Casperi, che presentavano studi epidemiologici in netto contrasto con l’ipotesi di assenza di una soglia portata avanti da Müller. Indipendentemente dal fatto che ció risponda a veritá o sia rilevante, sta di fatto che tutte le associazioni di radioprotezionisti, inclusa l’UNSCEAR, adottarono in breve tempo l’ipotesi di linearitá priva di soglia, in termini cautelativi; inizialmente, lo scopo era quello di fornire uno strumento per le analisi di sicurezza e il dimensionamento dei sistemi di protezione, ad esempio nella nascente industria nucleare. Nel corso dei decenni, tuttavia, l’ipotesi di linearitá senza soglia ha preso piede sempre piú, radicandosi in profonditá nella cultura stessa tanto dei radioprotezionisti che del pubblico.

Come accennato, ai tempi di Müller, si riteneva che la ragione biologica degli effetti ritardati fosse da imputarsi unicamente all’elevato livello di danno genetico determinato al DNA cellulare dalla radiazione incidente, che si pensava fosse permanente e indotto su un DNA intrinsecamente stabile. Date queste premesse, che oggi sappiamo essere errate, non poteva che scaturirne un modello lineare senza soglia! Il danno genetico, in uno scenario del genere, sarebbe ovviamente direttamente proporzionale al numero di radiazioni incidenti, quindi alla dose totale assorbita, ed indipendentemente dal tempo.

Dato l’approccio cautelativo e la relativa sicurezza nel fare queste affermazioni, la LNT non é in realtá mai stata sottoposta a una reale verifica; col tempo, in effetti, si é addirittura cominciato a prendere risultati statisticamente spesso piuttosto ambigui, con errori paragonabili in magnitudine ai dati stessi, e cercare unicamente di vedere se questi potevano in qualche modo essere in accordo con le previsioni della LNT, cercando un errore laddove ció non avveniva oppure accettando il risultato come conferma della natura conservativa del modello. Questo ha contribuito a dare la sensazione che il modello fosse ormai accreditato, radicandolo ancora di piú nella mentalitá non solo degli scienziati; il fatto che la nascente industria nucleare fosse obbligata a spendere cifre enormi per sovradimensionare i propri sistemi di sicurezza e mitigazione in nome di un modello mai validato era peraltro visto come un prezzo modesto da pagare, in cambio di una grandissima confidenza nella sicurezza. Era inoltre il periodo della guerra fredda e le due superpotenze minacciavano spesso il ricorso ad armi nucleari, oltre ad effettuare numerosi esperimenti anche in atmosfera, sicché é possibile che un certo timore delle radiazioni sia stato anche “lasciato crescere” da alcuni allo scopo di non contrastare i crescenti moti di protesta contro gli aspetti militari dell’atomo. 

Sia come sia, si tratta di ipotesi. Va peró ammesso che i dati statistici per dosi acute al livello della radiation sickness concordano in maniera piuttosto netta con l’approccio LNT; il problema semmai sta, come vedremo, in dosi piú piccole e/o distribuite nel tempo.

LWT

La LWT, o relazione lineare con soglia (Linear With Threshold) é un modello piú recente che considera semplicemente l ésistenza di una soglia di dose al di sotto della quale non sussiste alcun incremento dell’incidenza di fenomeni oncologici. Ció é giustificato dal fatto che, in effetti, il meccanismo di danno genetico non puó essere l’unico effetto di un irraggiamento: non si spiegherebbe altrimenti come puó un incremento del tutto insignificante nel numero di danni genetici da riparare portare a un incremento sensibile di danni genetici che 1) non vengono riparati, 2) bypassano l’apoptosi, 3) non vengono distrutti dal sistema immunitario e quindi 4) portano all’insorgenza del cancro. L’ipotesi é dunque basata prevalentemente sui dati epidemiologici, che effettivamente mostrano ormai con una certa evidenza che irraggiamenti al di sotto di una certa soglia di dose sono perfettamente compatibili con l’assenza totale di effetti oncologici negativi. Il problema rimane l’indipendenza dell’irraggiamento dal tempo, cioé il fatto che le dosi acute sono considerate al pari di dosi croniche.

Ormesi: cos’é, cosa ipotizza

L’ipotesi piú interessante é peró quella dell’ormesi. Essa parte da quegli studi epidemiologici nei quali si evidenzia una probabile diminuzione del rateo generale di incidenza di tumori e leucemie per piccoli ratei di dose, suggerendo che questa sia in realtá un effetto causato dalle dosi stesse, un po’ come piccole dosi croniche di alcuni veleni possono determinare un adattamento dell’organismo e una conseguente resistenza maggiore ad una dose robusta ed improvvisa.

La giustificazione teorica dell’ormesi é basata sull’idea che, poiché i danni genetici causati dalla radiazione sono trascurabili (e ció é dimostrato), allora il vero effetto negativo che alte dosi di radiazioni hanno sull’organismo dev’essere su a) i meccanismi di riparazione dei danni genetici, b) l’apoptosi cellulare, c) la risposta immunitaria oppure una combinazione dei tre. Questo giustifica l’idea che bassi ratei di dose comportino un piccolo stress aggiuntivo in particolare sui meccanismi di riparazione cellulare e sul sistema immunitario, rendendoli di fatto piú efficienti. Mentre alti ratei di dose costituirebbero uno stress troppo elevato e ridurrebbero l’efficacia dei meccanismi citati.

Un’ipotesi sullo scenario di esposizione a elevate dosi acute prevede che i meccanismi di riparazione del DNA, per quanto stimolati, si trovano a dover riparare troppi danni tutti insieme, mentre l’elevato numero di radicali liberi incrementerebbe ulteriormente il livello di danno. A fronte di ció, molte cellule non riuscirebbero a riparare abbastanza danni in tempo, prima di far scattare l’apoptosi a prevenzione di possibili instabilitá. L’elevato numero di apoptosi poi innalzerebbe il numero di fallimenti dell’apoptosi stessa, mettendo sotto stress un sistema immunitario che é a sua volta affetto da gravi perdite per apoptosi.

Per la stessa ragione, una pari dose ma ricevuta in un lasso di tempo molto piú lungo darebbe a molte cellule il tempo di riparare i danni e incrementare le loro difese, riguadagnando terreno. Al termine dell’esposizione, poi, i meccanismi di riparazione sarebbero ancora sovraefficaci per un po’, riguadagnando il terreno perso e migliorando addirittura la salute generale delle cellule rispetto a uno scenario in assenza di irraggiamento.
Per quanto affascinante, l’ipotesi dell’ormesi richiede ovviamente prove ben piú consistenti di alcuni studi epidemiologici. Qualche studio in effetti esiste, per esempio quello giá citato sui linfociti di Ramsar,  ma soprattutto é possibile identificare alcune basi biologiche a supporto di quest’ipotesi almeno nel caso delle radiazioni ultraviolette. É infatti noto che i raggi ultravioletti UVB stimolano nella pelle la melanogenesi: un danno diretto al DNA puó causare la produzione della melanina, un pigmento scuro capace di assorbire il 99,9% della radiazione UV proteggendo la cellula, oltre a generare vitamina D nel processo che ha azione antiossidante e riduce il numero di danni genetici da ossidazione. Il risultato, a livello di organismo intero, é ben noto a tutti: piccole dosi di radiazione UV solare producono una riduzione complessiva della probabilitá di contrarre un tumore (specialmente della pelle), perché il limitato danno genetico é piú che ampiamente compensato dall’azione antiossidante esercitata dalla vitamina D. Insomma, almeno per quanto riguarda gli ultravioletti solari, l’ormesi sembra essere scientificamente dimostrata.

Nota a margine: alcuni confondono l’ormesi con l’Omeopatia, ma in realtá si tratta di approcci completamente differenti! L’omeopatia sostiene che dosi diluite di un principio attivo diventano tanto piú efficaci quanto piú il principio é diluito, il che va contro ogni logica possibile, soprattutto per farmaci la cui diluizione rende statisticamente improbabile trovare una singola molecola di principio attivo nella soluzione!! L’ormesi invece punta su basi biologiche piuttosto concrete e si basa su ragionamenti logici, per quanto ancora non verificati sperimentalmente.

Conferme o smentite? Storia di studi non determinanti

Alla luce di quanto affermato sopra, viene da chiedersi: l’approccio lineare senza soglia come relazione tra una dose di radiazioni e un incremento di probabilitá di contrarre un tumore, é ancora giustificato? Sappiamo oggi che non é vero che basta una singola radiazione per provocare un tumore, anzi ci sono molti fattori che intervengono.  Sappiamo poi anche che il danno genetico da radiazione é talmente marginale che non puó spiegare da solo i dati epidemiologici per alte dosi. Sappiamo infine che il DNA non é affatto stabile come si pensava in passato, ed esistono meccanismi che lo riparano costantemente; questi poi intervengono anche sui danni aggiuntivi da radiazione, riparando tutto il danno in piú e forse eccedendo addirittura, se gli viene dato tempo a sufficienza per agire. Tutto questo legittima quantomeno un approccio al danno oncologico non legato alla dose cumulativa ricevuta, ma piuttosto al rateo di dose (dose nel tempo). Ma esistono studi a livello di organismo che, per bassi livelli di dose o bassi ratei di dose, confermano tutto questo impianto teorico?

In realtá, dopo piú di un secolo dalle prime applicazioni pratiche della radioattivitá, gli studi riguardanti bassi livelli di dose (per meglio dire: bassi ratei di dose nel tempo) sono ancora pochi. Si potrebbero scrivere libri sui motivi di questa mancanza di conferme, a partire semplicemente dal fatto che la relazione LNT é ormai universalmente accettata e raccomandata, intere generazioni di reattori nucleari sono stati progettati sulla base di essa e sicuramente il rischio di effetti ritardati su eventuali vittime di irraggiamenti non puó e non deve essere sottostimato. Qualcuno poi sottolinea come grandi gruppi economici potrebbero avere tutto l’interesse nell’esagerare i rischi associati all’impiego del nucleare, per mille motivi nei quali non entreró. Giova infine ricordare che, per un ricercatore, é sempre facile “leggere i dati” del proprio studio in una chiave coerente con il modello universalmente accettato, piuttosto che tentare di andare contro di esso senza avere una solida base: si pensi ad esempio ai numerosi studi epidemiologici il cui risultato ha una tale varianza da poter essere indifferentemente interpretato come coerente con la LNT oppure come aver evidenziato la totale assenza di effetti negativi.

Nella pratica, i pochi studi esistenti sembrano in massima parte supportare l’approccio ormetico, almeno per ratei di dose inferiori a 250 mSv/anno. Tra questi figurano

·         un esperimento del MIT su 112 topi, irradiati con 105 mSv in due tempi diversi (un gruppo nel corso di 5 settimane tramite esposizione a Iodio-135, l’altro in un minuto e mezzo di esposizione a raggi X); un esame accurato del DNA di campioni di sangue, midollo osseo, milza e pancreas ha mostrato che nel primo gruppo si é verificato un aumento trascurabile del numero di danni genetici (circa 12) e nessuna stimolazione rilevante dei meccanismi di riparazione cellulare, mentre nel secondo gruppo si é verificato un’aumento sensibile della risposta al danno genetico da parte dei meccanismi di riparazione
·         uno studio epidemiologico sui lavoratori del settore nucleare di 15 nazioni; curiosamente, le conclusioni di questo studio supponevano una conferma alla LNT, tuttavia ci si é accorti che in realtá nessuno dei gruppi esaminati presentava alcun incremento dell’incidenza di tumori eccetto uno, che portava da solo il totale dei  15 a concordare con la teoria lineare. Lo studio é stato allora ritirato dai suoi autori; il sospetto é che il gruppo in questione sia stato sottoposto a ratei di dose molto maggiori di quelli dichiarati, da cui la presenza di incrementi di incidenza tumorale solo per quel gruppo e nulla per tutti gli altri
·         uno studio sistematico sui piloti e hostess dei voli di linea svedesi; a quanto si legge, l’esposizione ai raggi cosmici (radiazioni ionizzanti anche ad energie molto elevate) non presenta il minimo accenno ad un incremento dell’incidenza di tumori o leucemie, fatta eccezione per il melanoma della pelle. Lo studio suggerisce come possibile causa di quest’ultimo l’esposizione ai raggi ultravioletti solari, il cui rateo di dose a 12000 metri di quota e per parecchie ore sarebbe effettivamente tutt’altro che una bassa dose
·         uno studio sull’irraggiamento gamma di linfociti di un campione di abitanti della cittá di Ramsar, in Iran, dove il fondo naturale di radiazioni arriva a toccare 175 mSv /anno. A quanto sembra, persino alti ratei di dose determinerebbero un numero di danni genetici minore di quanto atteso, purché si tratti di dosi croniche
·         un semplice confronto tra il rateo di incidenza di tumori e leucemie nello stato del Massachusetts (1.01 mSv/anno di fondo naturale in media) e del Colorado (1.8 mSv/anno in media) non soltanto non mostra incrementi per gli abitanti del Colorado, ma mostra anzi un livello generale lievemente piú basso in Colorado che non in Massachusetts

Oltre agli studi elencati sopra (e a tanti altri!), ci sono una serie di considerazioni di buonsenso, come ad esempio la mancanza di qualsivoglia indicazione che frequentare acque termali o luoghi costruiti con granito o tufo come Piazza San Pietro a Roma (con ratei di dose anche di 10 mSv/anno, pari all’area contaminata di Fukushima o Chernobyl) o ancora mangiare molte banane possa portare a qualsivoglia incremento dell’incidenza di fenomeni oncologici.

Ma davvero nessuno studio conferma le previsioni della LNT a livello epidemiologico? Non proprio. La questione é spinosa a causa di due problemi principali:

·         come detto, la LNT si é imposta, per ragioni storiche, come standard universale conservativo
·         l’esposizione alle radiazioni ionizzanti favorisce il cancro, non lo causa

il secondo problema implica che, data la mancanza di un nesso causa-effetto come nel caso della sindrome da radiazioni, é possibile mostrare una debole correlazione soltanto con studi statistici; tali studi sono peró per loro natura incapaci di confermare o smentire categoricamente l’esistenza di tale correlazione, specialmente per dosi non elevatissime o molto diluite nel tempo. Questo fa sí che l’establishment della LNT sia estremamente difficile da scalzare. Nel concreto, molti studi presentano conclusioni che sembrano confermare nettamente la LNT, salvo poi accorgersi che i risultati hanno una varianza tale da essere in perfetto accordo anche con la LWT e persino con l’ormesi! Ecco alcuni esempi di questo fenomeno:

·         Lo studio BEIR VII, parte della serie BEIR della National Academy of Sciences americana. I risultati di questo studio fanno parte di quella categoria di studi,  giá citata, i cui risultati “confermano la LNT ma non sono incompatibili con l’assenza totale di effetti”. Nell’ esaminare questo studio, l’UNSCEAR ha mangiato la foglia e sta premendo per ottenere studi piú precisi e imparziali per i casi a basse dosi e bassi ratei di dose, ma nel frattempo non puó fare a meno di continuare a propugnare la LNT a titolo cautelativo.
·         Lo studio su alcune case di Taiwan contenenti Co-60, altro esempio di varianza enorme e compatibilitá con qualsiasi scenario.

Esistono infine studi palesemente schierati, che tentano di piegare i dati alle interpretazioni del ricercatore di turno, tipicamente convinto antinuclearista o sostenitore di apocalissi nucleari. Personalmente non sono interessato a quel genere di studi percui, dopo averne esaminati alcuni, li ho trascurati deliberatamente in questa trattazione.

Effetti genetici (Work in progress!)

Tra gli effetti ritardati sono poi teorizzati effetti, rilevati soltanto sugli animali per il momento ed estrapolati teoricamente sull’uomo, che consistono in malformazioni genetiche permanenti. Secondo alcune fonti, gli studi sugli animali sembrano evidenziare il raddoppio dell’incidenza normale di malformazioni genetiche (valutabile in circa il 10,5%) per dosi medie di 1 Sv. Secondo altre fonti, dai 30.000 alto irraggiati di Hiroshima e Nagasaki non è uscita alcune evidenza statistica di malformazioni genetiche aggiuntive, permanenti o temporanee, dunque l’effetto (se presente) deve avere un’incidenza minore di 1/30.000 per dosi di 1 Sv. Sebbene durante il periodo dello sviluppo embrionale degli organi (9° giorno – 3° mese) il feto sia più radiosensibile, esiste il cosiddetto effetto tutto-o-nulla (aborto spontaneo o nessun effetto) che sembra intervenire in tali casi. Piú sibillina è invece la radiosensibilità dell’apparato nervoso centrale, presente durante tutto lo sviluppo, che in teoria potrebbe dare origine a ritardi mentali difficilmente rilevabili da studi medici. La mutazione genetica indotta dalle radiazioni in un gamete (maschile o femminile, cioè spermatozoo o ovulo) implicherebbe probabilmente più  la mancata fecondazione da parte di quel gamete che la creazione di malformazioni. È invece da considerarsi una bufala l'idea della malformazione genetica indotta su un individuo adulto o su un bambino (nuovamente, la mutazione incontrollata di una cellula darebbe origine al massimo a un tumore/leucemia, non alla nascita di organi o arti aggiuntivi).

Intake ed irraggiamento interno (Work in progress!!)

Quanto detto in precedenza per le esposizioni al corpo intero da irraggiamento esterno si applica all’ inalazione o ingestione di materiale radioattivo soltanto in parte. Ovviamente, i principi fisici e biologici coinvolti sono assolutamente gli stessi, ma esistono differenze piuttosto importanti legate al fatto che il materiale radioattivo si trova dentro al corpo. In buona sostanza, questo porta al fatto che l’irraggiamento proseguirá fintantoché l’elemento radioattivo non sará espulso come rifiuto o decaderá del tutto. In piú, per via della natura chimica dell’isotopo radioattivo, accade sovente che questo tenda ad accumularsi all’interno di un organo specifico, risultando in dosi anche significative solo a quell’organo.

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