giovedì 26 novembre 2015

Epidemia di tumori alla tiroide a Fukushima o effetto screening camuffato? La seconda.

A distanza di quattro anni e mezzo dal tremendo terremoto e tsunami del Tohoku orientale, non poteva mancare il solito genio che se ne esce con lo studio che tutti gli attivisti anti-nuke del mondo si aspettano in questi casi: la prova, spacciata per inconfutabile, dell’aumento dell’incidenza di un qualche tumore nell’area contaminata dalla povera centrale di Fukushima.

Ed eccolo qui infatti, un bel caso-controllo basato sui dati misurati da uno screening alla tiroide su 298.577 bambini e ragazzi dell’area (fino ai 19 anni) confrontato con la media nazionale giapponese e successivamente con la media di un’area specifica nella prefettura di Fukushima. Lo studio, guidato dall’epidemiologo Toshihide Tsuda, è disponibile in licenza Creative Common, e la metodologia ed i  risultati sono riassunti già nell’abstract per facilità di lettura: il risultato è un’incidenza enormemente più elevata (fino a 30 volte) di tumori alla tiroide nei bambini provenienti dalle aree irraggiate rispetto alla media nazionale. Non solo, già nell’abstract gli autori mettono le mani avanti, chiarendo bene che l’aumento è di tale entità da far sembrare improbabile si tratti di un semplice effetto-screening (Intendendo per “effetto-screening” il fatto che lo screening a tappeto possa evidenziare anche casi limite che sarebbero passati del tutto inosservati altrimenti).

Siamo sicuri? Ragioniamo un attimo.  Esiste un modello molto accurato per descrivere il danno genetico causato dalle radiazioni ionizzantialla materia vivente, supportato da una valanga di dati non dissimili da quelli presentati nello studio in questione. Il modello prevederebbe che, date le dosi realisticamente assorbite dai ragazzi a causa dell’incidente alla centrale, non ci sia alcun incremento statistico dell’incidenza di tumori alla tiroide rispetto al normale. Dunque come si spiega il risultato dello studio di Tsuda?

Potrebbero esserci di mezzo altri agenti cancerogeni? In fondo, la micidiale combinazione di terremoto e tsunami ha determinato ben più della semplice crisi termica alla centrale, con conseguente rilascio di isotopi radioattivi: sappiamo bene che aria, terra ed acqua sono state gravemente contaminate da ogni sorta di materiale, dal petrolio ed i suoi derivati a sostanze chimiche di ogni genere, da polveri e particolati più o meno sottili a ossidi di azoto e zolfo sollevati dai numerosi incendi. Potrebbe essere quella la ragione dell’incremento osservato?

Tutto può essere, ma in questo caso c’è un elemento piuttosto interessante da considerare: il nostro studio mette a confronto i dati di una scansione accurata a tappeto sui bambini di Fukshima, capace di diagnosticare anche il più piccolo nodulo del tutto asinotmatico, con i dati generici per il Giappone intero, che sono normalmente ottenuti catalogando la gente che si presenta dal medico con i sintomi di un tumore alla tiroide in stato acuto. E se si trattasse davvero semplicemente di effetto-screening? Ma è possibile che ciò possa spiegare una differenza di ben trenta volte?

Un’indizio ci arriva da un altro studio, poi seguito da un follow-up, condotto da Naomi Hayashida (Università di Nagasaki) sulle prefetture di Aomori, Nagasaki and Yamanashi, fuori dall’area contaminata. Il fatto interessante è che lo studio è stato condotto con lo stesso criterio dello studio di Tsuda, ovvero la scansione ad ultrasuoni a tappeto; il risultato è (ma su un campione molto più modesto di soli 4.365 bambini fino ai 18 anni) che l’incidenza di tumore alla tiroide misurata con gli ultrasuoni è circa 38 volte la media nazionale giapponese, cioè leggermente di più della differenza rilevata da Tsuda!

Non basta: uno studio sui risultati delle autopsie effettuate sui giapponesi ci conferma che moltissimi di essi, circa l’11 %, possiede a fine vita almeno un tumore alla tiroide, nell’1% circa dei casi di dimensioni considerevoli (>5mm, la soglia degli studi di Tsuda e Hayashida). A conti fatti, questo sembrerebbe confermare che il tumore alla tiroide ha un’incidenza elevatissima ma, essendo quasi sempre asintomatico, in molti casi non viene semplicemente diagnosticato e non fa statistica.  Dunque il fatto che una diagnosi accurata, a tappeto, metta in mostra molti più tumori di quelli che entrano nella statistica medica, addirittura trenta volte di più, avrebbe più che senso!
A questo punto però viene da chiedersi: se ci sono forti indizi che invitano a ritenere che l’incremento osservato da Tsuda, analogamente a quello di Hayashida, sia dovuto unicamente a effetto-screening, allora come mai il primo si premura di scrivere addirittura nell’abstract che “no, ma non può essere effetto-screening”, oltretutto basando l’affermazione unicamente sull’entità del fenomeno osservato? Alla luce di quanto detto, suona molto come una delle più classiche scuse non richieste, che fanno invariabilmente rima con “accuse manifeste”...

Una volta di più, esaminare i dati con distacco è la chiave per rimanere obiettivi; certo che, dopo anni di terrorismo mediatico sui fantomatici effetti delle radiazioni ionizzanti in piccole dosi, pochi hanno ancora il coraggio di abbandonare il gregge di pecoroni ed aprire la propria mente alla complessità della realtà. È indubbiamente molto più facile cavalcare l’onda della radiofobia mettendo insieme quattro dati dai connotati preoccupanti, liquidando il dettaglio che non quadra con un’argomentazione ridicola. Tanto, chi vuoi che ci faccia caso?

Concludo segnalando, per chi mastica un minimo di inglese, questo bell’articolo di The Breakthrough, che riprende tutta la faccenda spiegandola nei minimi dettagli e con dovizia di argomentazioni e fonti.

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