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martedì 22 marzo 2011

Commenti all’incidente nucleare di Fukushima (al 16 marzo 2011) del prof. A. Mathis

Pubblico integralmente, con permesso scritto dell'autore, una interessante analisi della struttura di Fukushima Daiichi e degli eventi che hanno coinvolto la centrale. L'analisi è stata scritta in data 16 marzo scorso dal professor Agostino Mathis (trovate alcune informazioni sul professore nel link alla sua conferenza di Giovedìscienza nella barra a fianco) e non tiene conto, naturalmente, di alcuni tra i successivi sviluppi della situazione. Buona lettura!


"La prefettura di Fukushima, in Giappone, ospita le centrali nucleari Fukushima I (o “Dai-ichi”, che in giapponese significa “Uno”),  e Fukushima II (o “Dai-ni”, che in giapponese significa “Due”), 
La centrale nucleare Fukushima I è costituita da sei reattori ad acqua bollente (BWR), che fornivano una potenza totale di 4700 MWe (cioè 4,7 GWe, come tre dei reattori che intenderebbe costruire l’ENEL in Italia) ["MWe" sta per "Megawatt elettrici", cioè di potenza erogata alla rete elettrica, n.d.PV]. Quei reattori entrarono in funzione a partire dai primi anni 1970. I primi cinque reattori, basati su progetti degli anni 1960, hanno uno schema di contenimento del tipo Mark I, come riportato in figura. L’ultimo reattore, da 1100 MWe, è invece più moderno, come quelli di Fukushima II, ed ha uno schema di contenimento del tipo Mark II.
Come si vede dalla figura, il contenimento del tipo Mark I presenta il classico contenitore d’acciaio (comunemente denominato “vessel”), in cui è contenuto il nocciolo che produce energia e contiene il combustibile nucleare molto radioattivo per i prodotti di fissione e gli elementi transuranici, come il Plutonio  e gli altri attinidi, prodotti dalla reazione a catena. Più all’esterno, ma in questi reattori molto vicino, c’è il contenitore a pressione di calcestruzzo, che normalmente presenta una parte asciutta (drywell) ed una parte contenente acqua per condensare rilasci di vapore (wetwell, in basso a forma di toro). 

DW = Drywell; WW = Wetwell; SF = Spent fuel pool
Rough sketch of a typical Boiling water reactor (BWR) Mark I Concrete Containment with Steel Torus including downcomers, as used in the BWR/1, BWR/2, BWR/3 and some BWR/4 model reactors. 

E’ da notare che questo schema destò dubbi presso la Nuclear Regulatory Commission degli Stati Uniti fin dai primi anni 1970, come risulta dall’allegato articolo dell’International Herald Tribune.
Una decina di chilometri più a Sud di Fukushima I si trova la centrale Fukushima II, costituita da quattro reattori ad acqua bollente (del tipo BWR-6), ciascuno da 1100 MWe, che quindi possono fornire in totale una potenza di 4400 MWe. Questi reattori furono costruiti nel corso degli anni 1980, con uno schema di contenimento del tipo Mark II.
Il terremoto dell’11 Marzo 2011, classificato di magnitudo 9 Richter, ha interessato ambedue le centrali. Anche se i terremoti di riferimento per il progetto di quei reattori erano circa un ordine di grandezza meno potenti, apparentemente le strutture edilizie ed impiantistiche non hanno subito danni di rilievo. I  sistemi di spegnimento automatico della reazione a catena (mediante inserzione nel nocciolo di barre di assorbitori neutronici) hanno operato regolarmente in tutti i reattori in quel momento in funzione, riducendo la potenza termica prodotta a quella dovuta soltanto alla radioattività dei prodotti di fissione e degli attinidi (Plutonio ed altri transuranici).
Questa “potenza residua” è inizialmente circa il 7% della potenza termica a cui funzionava il reattore, e si riduce al 2% già dopo un’ora ed all’1% dopo un giorno. Ma si tratta di valori tutt’altro che trascurabili: per un reattore da 1000 MWe, cioè 3000 MW termici, dopo un giorno abbiamo ancora una potenza termica di 10 MW, che tra l’altro in seguito si riduce molto più lentamente e che deve essere smaltita con continuità, pena lo svuotamento del contenitore a pressione e la fusione del combustibile pieno di materiale altamente radioattivo: allo scopo esistevano ovviamente appositi sistemi di raffreddamento di emergenza, sia pure, in questi reattori, di tipo attivo (cioè richiedenti l’alimentazione elettrica).
Essendo caduta per il terremoto tutta la rete elettrica della regione, si attivarono gli appositi “sistemi di continuità”, basati su batterie e generatori diesel-elettrici, che sembrano aver funzionato correttamente per circa un’ora, cioè fino a quando sugli impianti si è abbattuta l’onda di maremoto (lo “tsunami”), anch’essa molto più alta (10 m) della massima prevista in sede di progetto. Quest’onda, oltre a fermare il sistema di refrigerazione di emergenza del nocciolo, presumibilmente ha messo fuori uso molti altri sistemi ausiliari, come per esempio i circuiti di refrigerazione delle piscine contenenti combustibile esaurito in fase di raffreddamento, ponendo in crisi anche reattori in arresto per ispezioni periodiche programmate.
I reattori della centrale Fukushima II, più moderni o forse anche meno colpiti dallo tsunami, sia pure con qualche difficoltà iniziale, sono stati posti regolarmente in condizioni di arresto freddo (cold shutdown).
Invece, per i reattori della centrale Fukushima I, dopo l’arresto dei “sistemi di continuità”, gli interventi degli operatori non hanno potuto che essere fatti in condizioni di emergenza, senza alcun riguardo per l’eventuale futuro recupero dei reattori, addirittura immettendo direttamente acqua di mare nell’impianto. Ciò anche per un altra grave evoluzione, non efficacemente fronteggiabile da contenimenti del tipo Mark I: quando la temperatura del rivestimento in Zircalloy del combustibile nel nocciolo si avvicina ai 1000°C, anche prima della fusione del combustibile, l’acqua o il vapore cominciano a dissociarsi liberando idrogeno, e quindi le sfiatate provocate dagli operatori per salvaguardare il contenitore a pressione immettono anche idrogeno nel volume dell’edificio esterno del reattore, dove a contatto con l’aria provocano le numerose esplosioni riportate sui mass-media: esse appaiono molto preoccupanti, anche se non risultano molto radioattive almeno finché il combustibile non fosse troppo danneggiato. 
Nel famoso incidente di Three Mile Island del 1979, invece, l’edificio esterno, molto grande ed a tenuta di pressione, costituì un efficace volume di sfogo, povero di ossigeno, che non esplose e praticamente evitò le emissioni radioattive nell’ambiente: ma si trattava già di un progetto di circa 20 anni posteriore rispetto a quello dei BWR con contenimenti del tipo Mark I come quelli di Fukushima I.
oooOOOooo
Evidentemente è presto per trarre conclusioni su questa tragica ed amara esperienza. Tuttavia si può fin da ora notare che, come già detto, i reattori della centrale nucleare di Fukushima I sono sei, tutti di tipo BWR (Reattori ad Acqua Bollente) di “seconda generazione”, costruiti nel corso degli anni 1970 (con l’unità 1 collegata alla rete nell’ottobre del 1970 e l’ultima unità, la 6, collegata ad ottobre del 1979). Le centrali nucleari in questione erano state progettate per resistere ad un incidente massimo di riferimento che si rifaceva alle conoscenze ingegneristiche di quel periodo, in cui non erano ancora avvenuti incidenti di rilevante importanza, ai fini dell’accrescimento della cultura della sicurezza, quali Three Mile Island e Chernobyl.
Quando, nel 1979, è avvenuto l’incidente di Three Mile Island (classificato di livello 5 nella scala INES), in cui si è avuta un’estesa fusione degli elementi di combustibile del nocciolo, gli addetti ai lavori sono stati chiamati a rivedere le scelte fatte in passato a fronte delle nuove lezioni acquisite. Da quel momento in poi tutto il mondo della ricerca e dell’industria ha focalizzato fortemente l‘attenzione sulla sicurezza del sistema, cercando di capire come migliorare gli impianti esistenti e come progettarne di nuovi in grado di resistere ad incidenti fino a quel momento ritenuti impossibili o altamente improbabili.
Il frutto di quegli intensi anni di lavoro ha dato vita alla progettazione concettuale degli impianti di “terza generazione”, in particolare al francese EPR, all’ americano AP1000 e al giapponese ABWR (Advanced Boiling Water Reactor, un reattore ad acqua bollente della stessa tipologia di quelli in avaria a Fukushima I, ma di tecnologia ben più avanzata: si noti che nella stessa centrale di Fukushima I sono in avanzata fase di costruzione due reattori ABWR da 1380 MWe ciascuno). Anche le centrali di seconda generazione giapponesi più moderne, cioè quelle costruite dopo l’incidente di Three Mile Island del 1979, sono state in grado di resistere all’evento combinato terremoto/tsunami, riportando danni senza fuoriuscite di materiale radio-tossico.
Gli impianti nucleari di terza generazione avanzata sono dotati di dispositivi e barriere multiple di sicurezza non immaginabili all’epoca della costruzione dei reattori BWR della centrale di Fukushima attualmente in avaria. Nei nuovi reattori, alla base del progetto vi sono edifici di contenimento dotati di doppia parete, sistemi di emergenza che possono intervenire anche senza l’intervento dell’uomo e senza alcuna fonte di alimentazione elettrica, sistemi catalitici ad elevato contenuto tecnologico che possono prevenire le esplosioni di idrogeno, anche per rilasci massicci e violenti. In aggiunta, per quanto riguarda la gestione post-incidentale, nell’eventualità che si verifichi un evento di fusione del nocciolo, questi tipi di reattori di terza generazione avanzata dispongono di sistemi in grado di raccogliere e convogliare il materiale fuoriuscente dal reattore in un’area appositamente adibita e di raffreddarlo per tutto il tempo necessario prima dell’intervento in sicurezza da parte dell’uomo.
In Giappone sono già in esercizio reattori ABWR di III generazione; essi sono stati realizzati da una collaborazione General Electric-Hitachi e prodotti ora anche dalla Toshiba. Nei pressi della centrale nucleare in cui sono già operativi due ABWR giapponesi, nota come Kashiwazaki-Kariwa, il 16 luglio 2007 è stato rilevato l'epicentro del più forte terremoto che abbia mai colpito un impianto nucleare prima di quello di questi giorni (magnitudo 6,6 Richter). Non sono state registrate conseguenze sanitarie e ambientali di rilievo, e l'evento è stato classificato come non radiologicamente rilevante dalle autorità internazionali (IAEA).
Per via della forte accelerazione al suolo, il terremoto del luglio 2007, pur non così catastrofico come quello dello scorso 11 marzo, ha sollecitato l'impianto oltre i limiti di progetto, e pertanto si è provveduto subito dopo ad avviare un procedimento di arresto per l’ispezione dei reattori, che ha indicato la necessità di effettuare ulteriori prove e verifiche prima di rimetterli in esercizio. Ad agosto 2010, tre dei sette reattori, tra cui i due ABWR, risultavano normalmente riavviati."


Ho aggiornato il post uploadando il documento cui si riferisce il prof. Mathis. Il link è nel testo.

2 commenti:

  1. Finalmente un articolo serio...!
    Era ora dopo tanto e inutile sarcasmo oltre che gratuita ironia, che non depongono certo a favore di un blog che vorrebbe proporsi per serio, autorevole e imparziale.

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  2. Siamo sicuri che il Giappone sia così lontano?
    http://orahovistotutto.blogspot.com/

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