Il quotidiano La Stampa pubblica oggi un articolo di resoconto del convegno annuale dell'associazione Kyoto Club, avvenuto a quanto si legge lo scorso 16 gennaio a Roma.
Occorre premettere che l’articolo, a firma di Carlo Lavalle, è scritto in maniera molto professionale e dettagliata (a parte qualche errore, che mi auguro sia di battitura...), contrariamente a quanto succede solitamente per gli articoli a tema scientifico o tecnologico. Ci sono tuttavia alcune considerazioni di carattere tecnico che mi piacerebbe fare, soprattutto alla luce della tesi di fondo dell’articolo (che è anche la tesi di Kyoto Club): la sostenibilità di un sistema elettrico con il 100% di fonti rinnovabili.
Questa è la tesi di molti ambientalisti, basata (come giustamente evidenzia l’articolo) su considerazioni soprattutto di tipo economico sul trend di crescita seguito finora: “La spettacolare ascesa delle fonti rinnovabili a livello mondiale rende non irrealistico il perseguimento dell'obbiettivo del 100% di copertura della domanda energetica o elettrica entro il 2050.” (riporto pari pari, compreso “obiettivo” con due “b”, in quanto citazione).
Ok, certo è positivo sapere che l’economia risponde bene e che, tracciando una linea che parte dalla situazione attuale, si arriva al 2050 con il 100% di rinnovabili. Ma questo è solo un calcolo teorico, che prescinde da qualsiasi difficoltà tecnica. È come se decidessimo di imporre a tutti di viaggiare solo più a piedi facendo il calcolo che per andare ad esempio da Torino a Roma, moltiplicando una velocità media di 4 Km/h per 8 ore di cammino al giorno, sarebbero sufficienti appena 20 giorni per arrivare a destinazione. La realtà è ben diversa dai calcoli teorici: e se fa freddo? O caldo? Se piove? E le persone anziane e/o che hanno difficoltà a camminare? E le provviste (cibo e acqua) per i 20 giorni?
Focalizziamoci sul mix energetico proposto da Kyoto Club: “[...] gli impianti solari (40-45%), le importazioni di elettricità verde (25%) e la produzione di impianti eolici, idroelettrici, geotermici e da biomassa (30%).”
Delle fonti elencate, le uniche veramente affidabili (a essere generosi) sono le ultime tre, che insieme fanno meno del 30%, perché occorre escludere la quota di eolico. Un po’ pochino.
Il 40-45% di solare presenta poi i soliti problemi di disponibilità della fonte: di notte non produce, quando il sole è basso sull’orizzonte (d’inverno è la norma) produce poco-niente, quando piove o fa brutto idem, ecc.
Non è tanto una questione di energia totale prodotta (basta mettere più pannelli e sovraprodurre quando la fonte è disponibile), quanto un problema di stoccaggio dell’energia stessa, per usarla poi quando serve.
Ad oggi infatti, le soluzioni disponibili (dalla produzione di idrogeno allo stoccaggio in semplici batterie) risultano estremamente costose, facilmente deteriorabili col tempo (si pensi alla durata delle batterie o ai problemi di contenimento dell’idrogeno) e soprattutto inquinanti (pensate cosa vuol dire smaltire continuamente milioni di batterie che perdono capacità per usura...). Insomma, avere quasi la metà della capacità produttiva così ballerina e inaffidabile sarebbe veramente un grosso passo indietro per un paese moderno ed efficiente.
Quanto al 25% di importazioni, mi scappa da ridere. Ma come? Facciamo una malattia della dipendenza energetica italiana dall’estero, oggi al 14% (fonte: TERNA ) e auspichiamo un futuro in cui importiamo un quarto del fabbisogno dall’estero? Ridicolo.
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