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martedì 7 giugno 2011

Dire no al nucleare è arte

L'urlo nucleare, divenuto
ormai simbolo della protesta

La Stampa ci comunica in un articolo multimediale che “40 artisti hanno regalato a Greenpeace e al fotografo Andrea Massari, che li ha ritratti, la loro faccia più arrabbiata e pazza per fermare il ritorno al nucleare in Italia”.

Altrove si legge che alcuni ragazzi vivono ormai da parecchi giorni chiusi in un rifugio anti-radiazioni come se fosse “esplosa una centrale nucleare” (sic) e non usciranno finchè “il referendum cancellerà l’incubo nucleare”(sic!).

In televisione spopolano i vari Annozero che sparlano di nucleare, facendo (come sempre) ogni sforzo per cercare di convincere l’audience che chi vuole il ritorno di questa fonte di energia è un pazzo assassino senza scrupoli (cavolo, mi hanno scoperto...ora dovrò limare i miei bei canini lunghi da vampiro). Addirittura, nell’anteprima della trasmissione di Santoro, si cita il saggio gufo Celentano, che dodici anni fa profetizzava provocatoriamente “Oggi il grado di cultura di un popolo si misura in base al numero di centrali nucleari che quel popolo possiede” e a seguire faceva vedere un’esplosione atomica.

Sono preoccupato. Seriamente. Siamo di fronte a un fenomeno nuovo, figlio della nostra epoca: un’epoca di comunicazione, ma non di cultura. Un’epoca in cui chiunque può trovare qualunque cosa su internet e sbandierarla come una delle tante possibili verità. Un’epoca in cui seguire in massa i luoghi comuni della politica senza accendere il cervello e riflettere è diventata più di una moda: è uno stile di vita. È una nuova forma di fede religiosa: la gente crede per fede che “il nucleare” sia un “incubo” esattamente come crede per fede che nel 2012 “finirà il mondo” (ma che vuol dire poi?). Peggio ancora, alla superficialità e scarsa voglia/tempo per approfondire si aggiunge la faziosità politica del “votare contro” e l’abilità dei soliti imbonitori di folle a trascinare le masse contro l’avversario politico.

Non voglio, con questo discorso, sostenere che tutti dovremmo essere favorevoli all’energia nucleare. Non è semplicemente vero. È però vero che discutere con chi è vittima di questa fobìa aprioristica è inutile: ogni volta che sento domande quali “e il problema delle scorie?” mi rendo perfettamente conto che chi le pone non sa in realtà di che cosa sta parlando. Parla per sentito dire, tant’è che tende a chiudersi a riccio non appena gli si pongono domande semplici quali “Scusa, ma tu cosa intendi per problema delle scorie?”. Allora, ciò che si dà per scontato essere un grave, irrisolvibile problema, spesso condito di faziosità politica e sfiducia nelle istituzioni, si rivela essere solo una questione tecnica molto precisa, da affrontare e risolvere. Purtroppo però, come per qualunque tema specifico, rispondere alla curiosità su questi argomenti richiede pagine e pagine di noiosi approfondimenti tecnici. La gran parte delle volte, per sentirsi poi dire “ma dobbiamo essere tutti ingegneri nucleari per parlare di nucleare?

Niente da fare: siamo un dannato paese di allenatori di calcio. Sappiamo tutti molto meglio di Prandelli chi deve mettere in campo la nazionale di calcio stasera e allo stesso modo, beh, noi sì che abbiamo capito come funziona davvero il nucleare. E riteniamo ovviamente che chi non la pensa come noi ha torto marcio, è venduto o ha degli intrallazzi economico-politici per pensarla così. Buttarla in politica, poi, è lo sport nazionale. L’energia nucleare invece non ha colore politico: è una soluzione tecnica, con i suoi vantaggi e svantaggi e tale deve rimanere.

In questi anni si comincia a vedere dove questa faziosità popolare ci sta portando: all’essere sempre più consumatori passivi, un gregge di pecore guidato dai vari imbonitori di folle che cavalcano le fobìe popolari a scopi elettorali. Gente che prende temi tecnici importanti e li trasforma nel casus-belli del momento, attaccando senza tregua chi la pensa diversamente e starnazzando come un’oca del campidoglio. E intanto la competitività scende, le aziende chiudono e la gente rimane a casa. Signori miei, sulle faccende importanti si discute, non si litiga.

E così, domenica 12 e lunedì 13 giugno saremo chiamati a votare un referendum che toglierà dall’agenda dei nostri governi l’investimento di 30 miliardi di euro, gestiti per il 70% da aziende italiane, con la conseguente mancata creazione di 13.600 posti di lavoro diretti e circa 10.000 di indotto (La Stampa). E impedirà la riduzione dei costi dell’energia elettrica a lungo termine, con il conseguente incentivo alle aziende italiane a restare qui e a quelle straniere a venire a investire da noi, evitando ulteriori possibili posti di lavoro. E contrasterà la riduzione delle importazioni di energia elettrica dall’estero, oggi al 14%, che avrebbe portato a una diminuzione delle spese energetiche dirette e un aumento dell’indipendenza energetica (leggi politica) italiana da Francia, Russia e paesi nordafricani. Ricordo che la soluzione proposta per esempio da Kyoto club, interamente a fonti rinnovabili, richiede un’importazione di energia dall’estero pari al 25% del totale (ne abbiamo parlato qui).

E tutto questo a fronte di cosa? Della necessità di affrontare seriamente e professionalmente alcuni problemi  tecnici e tecnologici come la gestione delle scorie nucleari (in verità non molte più di quelle che già oggi produciamo coi nostri impianti medicali per la radioterapia) o la gestione in sicurezza delle centrali (che già facevamo negli impianti di 50 anni fa).  Temi importanti, da non sottovalutare, ma da risolvere sul piano tecnico, non alle urne con un referendum popolare che cancellerà per anni ancora l’adozione di un piano energetico nazionale in grado di far progredire veramente questo paese.

In questa situazione penosa, vale la pena ricordare La Stampa per il patetico articolo del celebre opinionista Luca Ricolfi. Caro Ricolfi, è inutile dare tanto la colpa alla politica: sappiamo bene che i nostri rappresentanti sono perlopiù biechi e corrotti approfittatori delle situazioni confuse per scopi elettorali. Ma chi se non voi ha contribuito a creare questo clima di fobìa antinucleare (con articoli come questo, questo e questo)? Ora vi assicuro che é tardi per accorgersi che il sensazionalismo a ogni costo ha un prezzo.