A distanza di
quattro anni e mezzo dal tremendo terremoto e tsunami del Tohoku orientale, non
poteva mancare il solito genio che se ne esce con lo studio che tutti gli
attivisti anti-nuke del mondo si aspettano in questi casi: la prova, spacciata
per inconfutabile, dell’aumento dell’incidenza di un qualche tumore nell’area
contaminata dalla povera centrale di Fukushima.
Ed eccolo qui infatti, un bel caso-controllo basato sui dati misurati da uno
screening alla tiroide su 298.577 bambini e ragazzi dell’area (fino ai 19 anni)
confrontato con la media nazionale giapponese e successivamente con la media di
un’area specifica nella prefettura di
Fukushima. Lo studio, guidato dall’epidemiologo Toshihide Tsuda, è
disponibile in licenza Creative Common, e la metodologia ed i risultati sono riassunti già nell’abstract
per facilità di lettura: il risultato è un’incidenza enormemente più elevata
(fino a 30 volte) di tumori alla tiroide nei bambini provenienti dalle aree
irraggiate rispetto alla media nazionale. Non solo, già nell’abstract gli
autori mettono le mani avanti, chiarendo bene che l’aumento è di tale entità da
far sembrare improbabile si tratti di un semplice effetto-screening (Intendendo
per “effetto-screening” il fatto che lo screening a tappeto possa evidenziare
anche casi limite che sarebbero passati del tutto inosservati altrimenti).
Siamo sicuri? Ragioniamo
un attimo. Esiste un modello molto
accurato per descrivere il danno genetico causato dalle radiazioni ionizzantialla materia vivente, supportato da una valanga di dati non dissimili da quelli
presentati nello studio in questione. Il modello prevederebbe che, date le dosi
realisticamente assorbite dai ragazzi a causa dell’incidente alla centrale, non
ci sia alcun incremento statistico dell’incidenza di tumori alla tiroide
rispetto al normale. Dunque come si spiega il risultato dello studio di Tsuda?
Potrebbero
esserci di mezzo altri agenti cancerogeni? In fondo, la micidiale combinazione
di terremoto e tsunami ha determinato ben più della semplice crisi termica alla
centrale, con conseguente rilascio di isotopi radioattivi: sappiamo bene che
aria, terra ed acqua sono state gravemente contaminate da ogni sorta di
materiale, dal petrolio ed i suoi derivati a sostanze chimiche di ogni genere,
da polveri e particolati più o meno sottili a ossidi di azoto e zolfo sollevati
dai numerosi incendi. Potrebbe essere quella la ragione dell’incremento
osservato?
Tutto può essere,
ma in questo caso c’è un elemento piuttosto interessante da considerare: il
nostro studio mette a confronto i dati di una scansione accurata a tappeto sui
bambini di Fukshima, capace di diagnosticare anche il più piccolo nodulo del
tutto asinotmatico, con i dati generici per il Giappone intero, che sono
normalmente ottenuti catalogando la gente che si presenta dal medico con i
sintomi di un tumore alla tiroide in stato acuto. E se si trattasse davvero semplicemente di effetto-screening? Ma è
possibile che ciò possa spiegare una differenza di ben trenta volte?
Un’indizio ci arriva
da un
altro studio, poi seguito da un follow-up, condotto da Naomi
Hayashida (Università di Nagasaki) sulle prefetture di Aomori, Nagasaki and
Yamanashi, fuori dall’area contaminata. Il fatto interessante è che lo studio è
stato condotto con lo stesso criterio dello studio di Tsuda, ovvero la
scansione ad ultrasuoni a tappeto; il risultato è (ma su un campione molto più
modesto di soli 4.365 bambini fino ai 18 anni) che l’incidenza di tumore alla
tiroide misurata con gli ultrasuoni è circa 38 volte la media nazionale giapponese,
cioè leggermente di più della differenza
rilevata da Tsuda!
Non basta: uno
studio sui risultati delle autopsie effettuate sui giapponesi ci conferma che
moltissimi di essi, circa l’11 %, possiede a fine vita almeno un tumore alla
tiroide, nell’1% circa dei casi di dimensioni considerevoli (>5mm, la soglia
degli studi di Tsuda e Hayashida). A conti fatti, questo sembrerebbe confermare
che il tumore alla tiroide ha un’incidenza elevatissima ma, essendo quasi
sempre asintomatico, in molti casi non viene semplicemente diagnosticato e non
fa statistica. Dunque il fatto che una
diagnosi accurata, a tappeto, metta in mostra molti più tumori di quelli che
entrano nella statistica medica, addirittura trenta volte di più, avrebbe più
che senso!
A questo punto
però viene da chiedersi: se ci sono forti indizi che invitano a ritenere che
l’incremento osservato da Tsuda, analogamente a quello di Hayashida, sia dovuto
unicamente a effetto-screening, allora come mai il primo si premura di scrivere
addirittura nell’abstract che “no, ma non può essere effetto-screening”,
oltretutto basando l’affermazione unicamente sull’entità del fenomeno
osservato? Alla luce di quanto detto, suona molto come una delle più classiche scuse non richieste, che fanno
invariabilmente rima con “accuse
manifeste”...
Una volta di più,
esaminare i dati con distacco è la chiave per rimanere obiettivi; certo che,
dopo anni di terrorismo mediatico sui fantomatici effetti delle radiazioni
ionizzanti in piccole dosi, pochi hanno ancora il coraggio di abbandonare il
gregge di pecoroni ed aprire la propria mente alla complessità della realtà. È
indubbiamente molto più facile cavalcare l’onda della radiofobia mettendo
insieme quattro dati dai connotati preoccupanti, liquidando il dettaglio che
non quadra con un’argomentazione ridicola. Tanto, chi vuoi che ci faccia caso?